ANCORA UNO POI BASTA - GLOW


Ammettiamolo: anche solo per un istante microscopico, tutti siamo rimasti dubbiosi guardando la sinossi di Glow su Netflix.
Una compagine di donne aspiranti wrestler, sullo sfondo dell'America anni '80.
Al contempo però, alcuni elementi invitano decisamente alla visione.
Una delle protagoniste è la Alison Brie di Mad Men e Community, la storia a cui si sono ispirate le creatrici Carly Mensch e Liz Flahive (già sceneggiatrici per Nurse Jackie) è vera e Netflix, con il tema Anni '80 e nostalgia, ha già dimostrato di saper colpire nel segno (Stranger Things e le due miniserie di Wet Hot American Summer)
Così decidiamo di premere su "Riproduci Episodio 1", rivelandosi la cosa migliore potessimo fare!
Non esagero: Glow è una delle serie per cui vale la pena osannare Netflix.
Ma partiamo dal principio, da quando, sul finire degli anni '80, debuttò sugli schermi statunitensi G.L.O.W. (Gorgeous Ladies of Wrestling), uno show su delle donne wrestler, talmente stereotipato, folle nelle sue parti recitate e politicamente scorretto nei modi, da andare avanti per quattro stagioni.
Un successo di nicchia che è stato rispolverato in tempi recenti da un documentario del 2012 (GLOW: The Story of The Gorgeous Ladies of Wrestling, appunto). Documentario che non deve essere sfuggito all'occhio furbo delle due sceneggiatrici, portandole ad ispirarsi per creare una nuova serie da proporre alla creatrice di Orange Is The New Black, Jenji Kohan, che ha accettato di produrla.
La parte storica è praticamente tutta qui: la serie poi, per quanto ispirandosi a quell'idea, prende una piega originale, ambientando la storia nel 1985 e raccontandoci, lungo tutta la prima stagione, della genesi dell'episodio pilota dello show, dell'unione di queste 13 donne, totalmente o quasi ignoranti in materia, che impareranno ad essere colleghe e sopratutto complici, sul ring e fuori.
Così veniamo a loro: le protagoniste.


Il cast di Glow è semplicemente perfetto. Non c'è nessuna nota stonata nel casting della serie. Ma per quanto sia una produzione dal carattere prettamente corale, ci sono tre personaggi che spiccano su tutti gli altri, diventando cardine della storia raccontata.
La prima è la Ruth della già citata Alison Brie. Una aspirante attrice, che cerca in tutti i modi di farsi notare, di trovare la parte giusta che lanci la sua claudicante carriera nascente. Troverà in GLOW una possibilità di esprimere al meglio le sue doti. Doti rese in parallelo dall'istrionismo della Brie, capace di essere una spanna sopra tutte le altre.
La seconda è Betty Gilpin, che interpreta Debbie Eagan, una ex attrice di soap opera, oggi mamma a tempo pieno, insoddisfatta dalla sua vita, per quanto cerchi di nasconderlo a tutti e a sé stessa.
Ha con un Ruth un rapporto di amiche-nemiche, dinamica che smuoverà molti dei fili che porteranno al climax dell'ultima puntata.
Il terzo personaggio è, a sorpresa, quello dell'unico uomo protagonista, al pari delle ragazze capace di calamitare l'attenzione, in praticamente ogni sua scena: il Sam Sylvia di Marc Maron è l'apoteosi dello stereotipo anni '80 che interpreta. Un regista di filmacci di serie B, anche se per lui sono arte cinematografica pura, scorbutico, intransigente, impareggiabile con quei suoi baffoni, viziato dalla propria malsana attitudine all'autocompiacimento sul viale dei ricordi, ma al tempo stesso capace di cambiare opinione su di sé e sulle ragazze. I duetti con Ruth sono tra le cose meglio scritte della serie.
Ma se questi tre risaltano, non vuole dire che rubino del tutto la scena al resto del cast. Le altre ragazze, in un modo o nell'altro, sanno costruirsi una loro individualità all'interno dell'economia della serie, giocando sulla loro multi-etnicità e sull'accettazione dei propri ruoli all'interno del ring.
C'è la Donna Lupo, l'ex attrice di "blaxploitation" in cerca del riscatto, la civettuola un filino stronza che vive in una limousine e va in giro con un look alla Madonna prima maniera, la figlia d'arte che viene da una famiglia di famosi lottatori, giusto per nominare quelle dall'evoluzione più carismatica.
Perché la cifra stilistica di Glow risiede tutta qui: nell'evoluzione e nell'accettazione prima di tutto delle proprie capacità, della propria forza e della parte che si chiede loro d'interpretare.
Se all'inizio tutte pensano a questa cosa del wrestling come ad un gioco fine a sé stesso, una semplice opportunità di calcare le scene, magari mostrando un pò di pelle e basta, alla fine capiranno che l'assoluta libertà che quei costumi e quei personaggi, cuciti loro addosso, conferiscono è il detonatore per riprendersi una fierezza troppo spesso castrata dagli uomini e dalla società del tempo.
In questo, la cornice nostalgica si rivela essenziale, perché, oltre ai vestiti, agli usi e alle acconciature dell'epoca, si respira per tutto il tempo una credibile ricostruzione del tempo che fu, totalmente credibile e funzionale al racconto.
Vedere queste donne, in quel particolare contesto, consci di ciò che ne sarebbe derivato, rende Glow una meravigliosa serie dal carattere fortemente e giustamente femminista.
Arrivati a questo punto, però, penserete che questo telefilm abbia solo connotati venati di dramma.
Sbagliereste, perché il tono della commedia la fa da padrone, una parte di dramma c'è, ovviamente, ma al pari della già citata OITNB, l'amalgama dei due elementi crea solidità narrativa e conferisce al tutto un ritmo ed una cadenza che non permettono noia o indifferenza.
Si finisce per divorarle, infatti, queste dieci puntate, tutte ottimamente scritte (seppur le ultime 3 hanno dei picchi che le fanno risaltare sulle altre). Si finisce per affezionarsi ai personaggi e, quando finalmente, vedremo le lotta-attrici salire sul ring, faremo loro un tifo scatenato, di quelli empatici da sorriso sulle labbra, ormai consci che ci sono tutte entrate nel cuore.


L'ultima obiezione che potreste fare a questo punto è che, se si è digiuni di wrestling, per quanto a chiunque di noi sarà capitato di trovarsi davanti ad un incontro a caso, semplicemente facendo zapping sulla TV, la serie potrebbe essere foriera di non facili codifiche. In realtà, al pari delle stesse protagoniste, lo spettatore ha tutto il diritto di essere beatamente ignorante in materia. Il wrestling è solo il mezzo per un fine, che, come ho spiegato sopra, è ben altro e le poche regole presentate sono semplici e d'immediata comprensione.
Insomma, alla resa dei conti, non avete decisamente più scuse per non concedere a Glow la sua giusta opportunità di sorprendervi, come già per molti spettatori che ne hanno decretato un successo tale da convincere Netflix a rinnovarla per una seconda stagione.
Le Gloriose Lottatrici sono sul ring: siete pronti a tifare per loro?


GLOW - Prima Stagione 
(disponibile su Netflix)
Una serie creata da Carly Mensch e Liz Flahive
Con Alison Brie, Betty Gilpin e Marc Maron

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