THE ELECTRIC STATE


 A Corrente Alternata.

Allora, questo THE ELECTRIC STATE su Netflix è davvero così terribile come lo si sta dipingendo? Direi Nì, per quanto l'occasione sprecata faccia comunque male.


Ma quella in realtà era lievemente prevista non appena è spuntato fuori il primo Trailer, perchè, a differenza di "Tales From The Loop" (la miniserie su Prime Video), qui si è deciso di prendere l'immaginario pensato e reso Arte da Simon Stålenhag e trasformarlo in un "Film per Tutti", inteso come "Per tutta la Famiglia", dove sfruttando l'escamotage della distopia nostalgica si voleva, in potenza, realizzare una pellicola che risuonasse come quelle per ragazzi di un tempo, con quelle inclinazioni, con quel ritmo, con quella influenza.

Senza contare il fattore "Millie Bobby Brown che da un look Anni '80 adesso passa ad uno Anni '90" ad evidenziare il tutto.


Ora, non sono uno di quelli contrari a priori a queste riletture, ogni storia può e deve essere raccontata, a patto che chi la scriva sappia trovare la giusta chiave per farlo. 

Ed è qui che casca l'asino per "The Electric State": il problema non è infatti la regia dei Russo.

Lo so, lo so: fa titolone da clickbaiting alzare le braccia al cielo ed urlare che è in mano loro che sta il destino dei film della Marvel. Ma in realtà, la loro direzione di questo film non è peggiore che in altre opere passate. Non ha nulla, in pregio o in difetto, di diverso da prove come "The Gray Man" o "Cherry", titoli dove non hai il carisma dei personaggi in costume colorato ad attirare e tenere desta l'attenzione dello spettatore.


Son due mestieranti, detto con amore, che, a monte, sono pronti ad aprire i cordoni della borsa con la loro AGBO, come è stato, ad esempio, per "Citadel" e come in questo caso.

E cito quella serie televisiva non a caso, perchè soffre dello stesso tallone d'achille: i mezzi produttivi sono eccellenti, gli effetti speciali ben costruiti, nomi noti in ruoli importanti (non li cito tutti o facciamo notte) e anche in quelli sin troppo secondari (per esempio Colman Domingo, Michael Trucco, Rahul Kohli e Holly Hunter) chiamati per mezza scena in croce, che poteva benissimo essere interpretata da chiunque altro meno "costoso".

Addirittura un preciso richiamo alla Disney, nominata esplicitamente, product placement in ogni dove (con la scusa della strizzata d'occhio d'amarcord) e mascotte "reali" come Mr. Peanut, tutte cose che ovviamente avere nel film implica accordi tra le parti.

Insomma, tutto grida che i Russo hanno i "Big Money" e non si fanno problemi ad usarli (ed insieme a loro, anche i Muschietti, coinvolti nel progetto con la Double Dream). Certo, magari anche assumere degli sceneggiatori ispirati non sarebbe poi male, ogni tanto.


Perchè, come per "Citadel", appunto, anche "The Electric State" è la fiera del precotto, mangiato e digerito da tempo. È tutto sin troppo prevedibile, tutto sin troppo stereotipato, su uno sfondo tremendamente affascinante, per riuscire a coinvolgere appieno.

C'è un po' di cuore, nel rapporto tra la Michelle di Bobby Brown e suo fratello, interpretato da Woody Norman, ma non basta, per quanto dolciastra sia questa cosa di "Kid Cosmo", per giustificare due ore di nulla o quasi, con Chris Pratt che fa sempre il suo solito personaggio, ma col Baffo Moretti.


Lo guardi, e riesci a prevederne battute e risvolti della trama, una volta che il suo minimo mistero viene rivelato. Non c'è mai un guizzo, nella sceneggiatura di Christopher Markus e Stephen McFeely, è tutto avvolto da questa patina di "già visto" che non porta mai il film ad eccellere, non come avrebbe potuto - e dovuto - visto il materiale di partenza.

Ma anche per chi manco sa chi sia Stålenhag risulta difficile andare oltre il concetto di visione di intrattenimento di una serata qualunque sul divano. Divertimento leggerissimo, quasi evanescente, dimenticabile subito dopo e con poca voglia di rivederlo in futuro.


Non me la sento però di lapidare "The Electric State" sulla pubblica piazza di internet, è un film come tanti ne son stati fatti in passato, di occasioni sprecate ne abbiamo avute, ne abbiamo e ne avremo, come è sempre stato. Non è mai morto nessuno per aver visto un film poco riuscito.

Forse, avrebbe dovuto beneficiare della sala, almeno dal punto di vista dello spettacolo, perchè certe scene sul grande schermo avrebbero avuto il loro perchè, mentre su Netflix, non importa quanto enorme sia il vostro televisore, non hai manco quell'assist a sorreggerti.

Spiace davvero, ma in questi casi, per me vale sempre la scena finale di "The Truman Show": no, non Jim Carrey che fa l'inchino, ma le due guardie che, con serafica rassegnazione, cercano il telecomando e passano semplicemente a guardare qualcos'altro!


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