LA CITTÀ PROIBITA

 

Dalla Cina, con Sentimento.

Ce lo aveva già dimostrato Bruce Lee, che Roma poteva essere teatro ideale per uno scontro di arti marziali destinato alla memoria, e Gabriele Mainetti, al suo terzo lungometraggio da regista, non solo conferma la cosa, ma realizza un film in cui a dominare, oltre all'amore per il cinema di genere, cosa che è il suo marchio di fabbrica, è anche l'Amore con la maiuscola.


È questo a colpire duro in LA CITTÀ PROIBITA, tanto quanto le spettacolari, impeccabili coreografie del "Famo a Menasse" di Yaxi Liu, quella che si dice una scoperta pura, una di quelle che riescono solo ai bravi registi, che hanno occhio per gli interpreti e sanno scovare perle nascoste come lei, stuntwoman bravissima, che già aveva lavorarato come controfigura per il live action di "Mulan", e che qui diventa attrice, con un corpo che è un fascio di nervi pronti a scattare, sinuosa come un cobra e altrettanto pericolosa, e un volto che buca lo schermo e trasmette emozioni autentiche, scavando dentro di sè e il suo vissuto, per rendere tridimensionale, efficace e credibile la sua tosta quanto fragile Xiao Mei.


Ancora una volta, Mainetti guarda al suo cinema con respiro e fotografia internazionali, e l'incipit, se non avessi la certezza, a cartellone, che è un film italiano, non sfigurerebbe se il grande schermo fosse quello di una sala americana. La costruzione, la narrazione, il ricercare quel particolare frangente storico della Cina per dare forza al racconto, quella scena di lotta, ti trasportano così lontano che quando il film decide di rivelarsi e così l'aggancio col titolo, ti ritrovi stranito quel tanto che basta, anche se sapevi già il trucco.


A quel punto, entrano in scena tutti i protagonisti principali, a cui la sceneggiatura regala carattere, con qualche sorpresa lungo la strada, e parte la carrellata di volti giusti: Enrico Borello (film consigliati: "Settembre" e "Familia") ha ciò che serve per dare vita a Marcello, questo cuoco di animo gentile quanto bravo ai fornelli del ristorante di famiglia, gestito insieme alla madre, una sempre affascinante Sabrina Ferilli, una donna ancora molto bella, che aspetta, non senza rimpianti, che suo marito Luca Zingaretti, scappato insieme ad una donna cinese, torni a casa da lei, rimanendogli fedele nonostante tutto.

Se poi parliamo di bravura, Marco Giallini ancora una volta si prende la scena ogni volta che appare: il suo Annibale è quello che si potrebbe definire un "delinquente" che odi amare. Un mezzo criminale di quartiere, residuo di un'altra generazione, un dinosauro, anzi "l'ultimo dei dinosauri", che non riesci a disprezzare del tutto, proprio perchè è l'incarnazione di un'altra epoca, di un altro tempo, ivi inclusi i riferimenti culturali che, nerd sempre e comunque, Mainetti gli fa inanellare, da Asterix passando per Mandrake. Giallini ci mette il suo carisma, e questo è ciò che permette al film di dare le sue altre mazzate.


Perchè a quelle marziali ci pensano Yaxi Liu e Chunyu Shanshan, che poi sarebbe il villain della situazione, ma con uno spiraglio che lo rende ben più del solito bidimensionale cattivo di tanti film di genere, quelli che di solito finivano pestati malamente dal "Piccolo Drago".

Di sicuro, quel cinema è la stella polare a cui Mainetti ha puntato, un certo modo di raccontare, dove la vendetta viene ricercata comunque sia, dove il crimine non fa sconti e, in questo caso, la protagonista ha dentro di sè una furia che la rende, se non invincibile, dannatamente dura da abbattere, proprio perchè ha un cieco obiettivo da portare a termine, ma questo non vuol dire che dietro quella scorza non si nasconda una ragazza che può e vuole aprirsi agli altri, non semplice furia ma carne che sanguina e occhi che piangono.

Senza contare che c'è una cura, nelle coreografie, nel modo di girarle, nel soppesare ogni inquadratura che dà la vertigine per tutto l'impegno profuso da Mainetti per non sbagliare, per non rendere ogni combattimento "poca cosa", ma anzi ognuno più memorabile dell'altro, anche qui guardando a quanto, altrettanto, impegno si è sempre dimostrato nelle belle messe in scena di questo tipo di cinema, vorticoso e potente.


Ma, a differenza di tanti film "picchiaduro" del passato, Mainetti ci mette la marcia in più dell'altra sua protagonista d'eccezione, la sua musa prediletta: la città di Roma.

Multiculturale, "Caput Mundi" di Arte e Storia, dove si parlano mille linguaggi e alcuni sono universali anche a "cinquantamila milioni di chilometri" (cito a memoria, non me ne vogliate), e dove non arriva Google Translate, ci pensano il cibo e i sentimenti autentici.

Foriera di scorci veri e vitali, e che possono permettersi di fare da sfondo a scene che pensiamo lontane dal nostro modo di concepire i film, dimenticando che noi, delle pellicole di genere, abbiamo scritto pagine memorabili, e che le nostre location sanno regalare fascinazione in egual modo, se sapute utilizzare.

Magari non sarà una fabbrica di ghiaccio, ma una dove si realizzano vasi e ceramiche, e il Colosseo, invece di fare da sfondo ad uno scontro con Chuck Norris, è una tappa di un tour con cicerone per delle inusitate "Vacanze Romane" sempre a bordo di una Vespa.

La Capitale è dipinta da Mainetti con un trasporto e una presenza che va ben oltre la cartolina e diventa sfondo internazionale più dell'ennesimo blockbuster hollywoodiano girato tra quelle strade come capitolo X di un franchise Y.



Magari son riscontrabili dei difetti in alcuni frangenti, dove pare che trama non sappia dove ci sta portando, salvo poi ritrovare subito la strada un istante dopo, magari si potrebbe pensare che alcune azioni - reazioni dei personaggi, inclusa la storia d'amore principale, appaiano troppo repentine, quasi fossero esse stesse mosse e contromosse di un combattimento.

La verità, però, è che "La Città Proibita" parla di tanti tipi d'Amore, da quello romantico, a quello familiare, da quello per il passato venato di rimpianto a quello per una speranza che non vogliamo abbandonare, e come detto, è questo asso nella manica che conquista.

"Una carezza in un pugno", per citare quel tale.

E son proprio queste mazzate con sentimento che ti fanno soprassedere alle imperfezioni, che ti fanno valutare il film per il gioiello che dimostra di essere.


Al suo terzo film, Mainetti si dimostra non più solo regista da tenere d'occhio, ma da attendere con interesse, proprio per come sa solleticare con stile personale e tenacia produttiva certi piaceri cinefili "di pancia", ma raccontati con cuore e mente attenti.

Non so se è già al lavoro sul suo prossimo film, ma di sicuro io sarò lì in prima fila ad attenderlo nuovamente con vero interesse. E personalmente parlando, in un panorama spesso sin troppo avaro di vere sorprese, è il complimento migliore che mi sento di fargli!


TROVATE IL NERDASTRO SU FACEBOOKINSTAGRAMX (TWITTER)THREADS e BLUESKY!


Post più popolari