THE LIFE OF CHUCK
Contenere Moltitudini.
Ci sono opere che ti fanno stare bene, non dico far pace con sè stessi, ma una volta che le si termina, si prova come una strana sensazione di leggerezza dell'anima: ecco, THE LIFE OF CHUCK è una di queste, un film con cui Mike Flanagan affronta l'altro lato di Stephen King, quello più emozionale, quello che prende al cuore, lontano dall'Orrore e più rivolto alla Vita.
Il film, ora nelle sale, è forse (anzi, senza il forse) l'opera più matura composta sinora dal regista, un film piccolo, eppure grande, non sale in cattedra, eppure ti lascia dentro tanti piccoli semi destinati a crescere dopo la visione, non subito, di quelli a cui pensi e ripensi nel tempo, perchè in alcuni momenti, in alcune scene hanno saputo catturarti e dirti qualcosa.
Tratto dal racconto del Re contenuto in "Se Scorre Il Sangue" (un "A Qualcuno Piace Libro" in arrivo? Chissà), il film inizia... dalla fine, dal terzo atto, che ci mostra un mondo che sta perdendo la sua memoria, fatta di un internet che ormai non tornerà più, di telefoni scrollati in continuazione che diventano utili quanto soprammobili e un disastro naturale che tinge il tutto di uno scenario post-apocalittico incombente. Non si sa bene il perchè, poi, ma in città appaiono cartelli e messaggi pubblicitari che ringraziano un uomo, chiamato Charles Krantz (Tom Hiddleston) e vestito come un contabile, per "39 fantastici anni".
Ci sarà dato di conoscere Chuck solo nel secondo atto, in un giorno in particolare della sua vita, mentre la voce narrante ci fornisce il contesto che porterà l'uomo, sempre col volto di Hiddleston, a lasciarsi andare al ballo con un ragazza, proprio lì, davanti ai passanti, al suono della batteria suonata da un'artista di strada. C'è un motivo in particolare per questo suo momento di "ordinaria follia", e ci verrà mostrato nel primo atto, che poi è la terza parte.
Qui incontriamo un Chuck bambino (Benjamin Pajak), ne scopriamo l'infanzia, la crescita, i sorrisi e i dolori, così come le scoperte e le piccole e grandi gioie, che lo faranno diventare un giovane uomo (Jacob Tremblay) sino a scoprire il segreto che si cela in quella cupola sopra la casa dei suoi nonni...
Perchè questa strada a ritroso, perchè scegliere di raccontarci l'epilogo (e che epilogo, visto quanto è straniante) e poi il prologo? C'è una ragione, e la coglierete prestando attenzione ai tanti dialoghi, alle tante frasi che vengono dette lungo la visione, ai tanti volti che vedrete apparire, perchè Flanagan, nell'adattare questo racconto, decide che anche il film, oltre alla metafora presa dalla poesia di Walt Whitman, deve "contenere moltitudini", cercando di riunire intorno a sè tutte quelle persone che ha conosciuto nella sua esistenza e carriera.
Elencarli tutti porterebbe via davvero molti caratteri e ne scorderei persino, ma se siete affezionati alla filmografia del bravo cineasta, incluse le serie Netflix, allora è un vero "Who's Who" lungo due ore, magari per un veloce cameo, magari per un momento più intenso, ma ci sono un sacco di apparizioni, ognuna a suo modo speciale nel suo piccolo, come nella vita.
(menziono però almeno Karen Gillan, Chiwetel Ejiofor, Mia Sara e Mark Hamill)
Flanagan dirige con tono delicato, quasi in punta di piedi. Stavolta non deve impegnarsi a cercare il jumpscare, qui non c'è bisogno, sono i sentimenti e i personaggi a dover parlare, anzi IL personaggio, Chuck, un uomo qualunque e straordinario al contempo, umile e ricco, un numero infinitamente piccolo nell'enorme storia dell'universo eppure prezioso come una gemma rarissima, perchè possiede in sè una scintilla unica, eppure stranamente familiare.
Lungo due ore facciamo la sua conoscenza, eppure sembra sia con noi da sempre, mentre Flanagan ne dipinge la normale grandezza con mano ferma e batticuore sotto controllo.
Un film che non urla mai al "Capolavoro", lascia che, se ne hanno voglia e piacere, siano gli spettatori a farlo in caso. Semplicemente vuole fare il suo tranquillo dovere: raccontarci una storia, una di quelle che vale la pena ascoltare e fare proprie, una che sa "dire con più voce quello che gli altri impongono gridando" (per citare quel tizio).
Un film che sono felice di aver visto, e sui titoli di coda, viene quasi spontaneo ringraziare.
Grazie, Stephen.
Grazie, Mike.
Grazie, Chuck!
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