KILLERS OF THE FLOWER MOON

 


Nero come Petrolio.

Denso come Sangue: analizzare un film come KILLERS OF THE FLOWER MOON è senza dubbio complesso, ma se dovessi descrivere l'ultimo lavoro di Martin Scorsese, c'è solo un termine che potrei utilizzare, e nella sua accezione più alta.

Cinema.

E voi potreste dire: bella forza, ogni film è Cinema, e non sarei io a darvi torto. Ma un conto è il cinema di un qualsiasi mestierante armato di green screen e tanta buona volontà, e un altro il Cinema di un Maestro, che alla veneranda età di 80 anni, sente ancora così forte il desiderio di raccontare, di farlo secondo il suo modo, secondo un'indole forgiata in decenni di Arte, costruita sulla conoscenza autentica del mezzo, quella che distingue il tenere in mano una telecamera dal maneggiare, con sapienza, una macchina da presa.


"Killers of the Flower Moon" (da qui in poi KOTFM) nasce, come certamente saprete, dal libro di David Grann, "Gli Assassini della Terra Rossa" (edito da Corbaccio), da cui Eric Roth e lo stesso Scorsese hanno tratto questa sceneggiatura fiume, questa tonante rievocazione di una delle pagine più nere della Storia Americana, quel Massacro degli Osage perpetrato in nome di un'avidità che mette tutto in secondo piano, anche la dignità umana.

Quello dipinto dalla pellicola è infatti un ritratto fosco delle persone coinvolte, non ci sono grossi margini per entrare empaticamente in contatto con la maggior parte di loro, a partire dal personaggio di Robert De Niro, finendo con quello di Leonardo DiCaprio, in quella che è una delle sue interpretazioni più riuscite e più meschine.

Ciò che è stato fatto, le orribili azioni compiute, ai danni di donne e uomini per quell'oro, nero come l'abisso di certe anime, è, nelle mani di Scorsese, un cammino che incrocia il dramma autentico e puro, con l'incedere del Thriller, sfiorando anche l'Orrore, in una scena in particolare, in cui un conclave di potenti impartisce istruzioni, perché gli Osage, ai loro occhi, non erano esseri umani, ma solo pedoni da abbattere, impersonali mezzi per non perdere il Re, e garantirsi il controllo della scacchiera.


Si è molto discusso della durata di KOTFM, il che fa mi un poco sorridere onestamente, perché, per quella continua contraddizione che sono i social, se un film della Marvel non dura sei ore, allora è un flop annunciato, altrimenti, in casi come questo, si parla di "sequestro di persona".

Ma la verità è che, in entrambi i casi, non è il cronometro a stabilire la validità di un'opera, quanto il peso specifico del suo racconto, se quello che vuole esporre necessita di quei minuti, necessita di quella particolare misura di tempo per dire ciò che deve.

E Scorsese, da Maestro quale è, sa benissimo che questo suo viaggio aveva bisogno di essere presentato in questi termini, aveva bisogno di prendere lo spettatore e trascinarlo in quella che non è una gita di piacere, che non è un semplice resoconto didascalico, per quanto lineare nella sua esposizione (non ci sono, ad esempio, i "trucchi" narrativi di un "Oppenheimer"), ma vuole farcene cogliere appieno la vastità e la gravità, il modo in cui tutto questo si è perpetrato su una distanza e una cecità che è, oggi più che mai, impossibile da ignorare.

È un racconto che aveva bisogno del suo tempo, che aveva bisogno di ogni singolo minuto, di ogni singola linea di dialogo, di ogni singolo sguardo tristemente fiero di Lily Gladstone, a cui spetta il compito, immane come il cielo, di essere l'anima di KOTFM.

C'è qualcosa, nella sua Mollie, che ti entra lentamente dentro, sino a spezzarti, sino al punto da diventare quasi insostenibile continuare a guardare in quegli occhi, continuare a reggere quella sofferenza. Si merita tanto riconoscimento, e spero lo ottenga, e non mi sto riferendo a semplici statuette di metallo smaltato.


Come logico aspettarsi in un film di Martin Scorsese, l'attenzione per il comparto tecnico è sempre altissima, dalle scenografie, alla fotografia, sino alle musiche, che accompagnano le immagini nel loro costruire sequenze che si riempiono di significati, di metafore, di omaggi, non solo ad una specifica cultura, ma anche ad un particolare sentire, ad un approcciare un popolo sotto la lente di una tradizione, calpestata, invisa e derisa nel sentimento più nobile, che è quello del Rispetto.

KOTFM è un film poderoso, in molti sensi. Ha quel senso di monumentale del Cinema che lascia un segno, che traccia un solco nella memoria, come si usava un tempo e che Scorsese ci ricorda si può usare  - e osare - ancora, perché fare Cinema è anche questo, raccontare per immagini, raccontare per sensazioni che devono crescere, che devono sedimentare, nel buio della sala. Specialmente in questi frangenti di effimero dell'oggi.

È un film importante, anche e non solo per i nomi coinvolti, perché chiunque nel cast ne avverte la dimensione, l'evocativa epica di un Western revisionista, che si allontana, e di prepotenza, da qualsiasi ideale romantico (seppur concedendosi della poesia, quando possibile), per mostrare con durezza, quel qualcosa che rende KOTFM così speciale.

Perché è un film fatto di Persone, prima ancora che Personaggi, di Storia, prima ancora che di storie, portando, quasi obbligando, gli interpreti a dare il meglio (qui veloce ma obbligata parentesi anche per Jesse Plemons e Brendan Fraser), alcuni guidati con mano sicura, da chi con loro ha ormai un rapporto che va al di là del set cinematografico.

Non devo infatti certo ricordare quanto sia solido il legame che lega Scorsese a De Niro o a DiCaprio, due dei suoi più valenti collaboratori, non senza motivo.

Ma c'è anche quello che il film vuole rappresentare, quella ferita che deve rimanere aperta perché mai completamente sanata, non finchè si deciderà una volta per tutte di non ritenerla solo come una nota a piè di pagina di un libro di testo scolastico, se non addirittura di ignorarla.

E che non si può, per questo motivo, racchiudere in un semplice cartello prima dei titoli di coda (se avete visto il film, spero abbiate capito a quale splendida trovata registica mi sto riferendo).


KOTFM è anche, cosa altrettanto indubbia, un film su cui si potrebbe e si dovrebbe scrivere molto di più che non queste semplici righe, da analizzare lungo tutti i suoi 200 minuti e di sicuro c'è chi ha le conoscenze, storiche e sociali, per farlo meglio di me.

Ma volendo prestare il fianco a quella bidimensionalità tanto cara a Internet, senza mettersi ad urlare al Capolavoro o all'ennesima citazione del Ragioniere di Villaggio, c'è un solo assolutismo per cui vale la pena vedere KOTFM.

Perché è proprio un bellissimo film!



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