FINAL DESTINATION - BLOODLINES
"La Morte schifosa, la Morte lasciva! La Morte! La Morte! La Morte che arriva! La Morte furiosa, la Morte maligna, la Morte pietosa".
Così Tiziano Sclavi, in alcuni dei versi contenuti in quel Capolavoro di "Attraverso lo Specchio", il 10° Dylan Dog, descriveva la Signora con la Falce.
Dopo aver visto FINAL DESTINATION BLOODLINES, ci aggiungo io, sulla falsariga: "La Morte paziente, la Morte incalzante, la Morte che sa ancor esser divertente".
Son vecchio abbastanza da poter dire di esserci letteralmente cresciuto con questa saga Horror/Thriller: ero adolescente quando uscì il primo, 25 anni fa, e sono più che adulto oggi che il 6° film è arrivato sugli schermi, diretto stavolta da Zach Lipovsky e Adam Stein, a cui spettava l'ingrato compito di riuscire a ridare vita ad un franchise in coma dal 2011.
E a vedere il risultato al botteghino e il gradimento del pubblico, pare che ci siano riusciti, anche se gli sceneggiatori Guy Busick e Lori Evans Taylor non hanno poi reinventato chissà che ruota, ma a vincere è soprattutto il soggetto di Jon Watts (sì, quello degli "Spider-Man" con Tom Holland): che succede se salvi talmente tante persone al punto che il piano della Morte non solo salta, ma la costringe a prenderla talmente per le lunghe che la sua vendetta si protrae per cinquant'anni e abbraccia più generazioni?
È questo a colpire infatti di "Bloodlines": il gioco machiavellico dell'Oscura Signora la rende qui a tutti gli effetti una figura meno impalpabile di prima. Non che diventi un Jason o un Freddy pronta a rincorrere i malcapitati di turno, ma di sicuro riesci ad immaginartela, stanca di giocare a scacchi, che preferisce mettere insieme questi domino da cartone animato, dove l'azione / reazione raggiunge punti di paradosso sempre importanti (e al diavolo la logica), il tutto con molta pazienza, tanto lei, comunque sia, non deve andare da nessuna parte.
Il classico incipit che ti toglie la voglia di fare qualcosa stavolta è ambientato nel 1968: una giovane ragazza, Iris (Brec Bassinger), partecipa alla serata inaugurale di un ristorante di lusso posto in cima ad una torre altissima. Non solo: la pista da ballo è in vetro e permette una vista mozzafiato mentre si danza. Inutile dire che non andrà benissimo.
Nel momento in cui Iris ci lascia le penne, da canovaccio ci sarebbe lei che si risveglia dalla "visione" e avverte tutti, salvandone alcuni. Ma qui il film si prende la sua prima libertà: a riprendere contatto con la realtà, urlo terrorizzato incluso, è sua nipote Stefani (Kaitlyn Santa Juana), nel presente. Questo incubo la perseguita, non capisce perchè lo fa, ma sa che quella Iris che vede deve essere sua nonna. Così si mette a cercare risposte, mettendo in moto una catena di eventi che renderà chiaro che la Morte ha atteso, a lungo, di sistemare le cose, togliendo di mezzo anche le vite che non sarebbero mai dovute nascere...
Da qui in poi, è bene o male la classica corsa pazza di alti e bassi con morti sempre più assurde, dove basta un niente apparentemente casuale per innescare la dipartita di uno o più personaggi, con giusto una punta di grand guignol in più rispetto al passato.
Ma, rispetto agli ultimi film, in particolare il quarto e il quinto che hanno rappresentato la lenta dipartita del franchise prima di questa "resurrezione", c'è la volontà di ritornare ad imbastire uno straccio di trama, di cercare uno scampolo che sia uno di originalità, riuscendo ad intrattenere il pubblico, che è lì per quello con il suo cestello dei popcorn.
Ovviamente, se con "intrattenere" si intende guardare per 110 minuti gente che si spiaccica malamente, come in un vecchio corto di "Tom & Jerry" - anche se sarebbe meglio dire "Grattachecca e Fichetto", vista la quantità di emoglobina - dato che la logica visiva è la stessa, solo più efferato e con persone in carne e ossa.
I due registi padroneggiano questo sentimento e lo portano avanti con convinzione, aiutati da un digitale che costringe a non prendersi mai troppo sul serio, e lasciando andare la mano alla vera esagerazione solo nelle battute finali, anche quando sembra che "Bloodlines" voglia rigiocarsi una carta già sfruttata ampiamente in passato. Ma c'è sempre il plot twist a salvare la baracca. Lo attendi, ci speri e lui arriva, criminale svelare come.
Ma soprattutto, il film cerca di recuperare una cosa di cui accennavo prima e che era poi progressivamente venuta a mancare: rendere terrificante l'idea che una cosa qualsiasi, una cosa di tutti i giorni come saltare su un tappeto elastico, organizzare un barbecue o andare semplicemente a correre, possano diventare la causa della tua morte.
La colonna sonora ci mette il suo e, proprio ironicamente, cementa alcune sequenze del film, costringendoti a ripensarci - in un angolino del cervello - ogni volta le riascolti. Un esempio: "Without You", resa celebre dalla voce di Mariah Carey.
Il cast funziona (alle già nominate, si aggiungono Teo Briones, Richard Harmon, Owen Patrick Joyner, Anna Lore e Rya Kihlstedt), seppur senza mai brillare troppo, ma a rubare la scena, incluso un trucco narrativo che non svelo, è ancora una volta il compianto Tony Todd, qui alla sua ultima apparizione, lui che dei "Final Destination" è sempre stato il nume tutelare, sin dal primo.
Notevolmente smagrito per via della malattia, ma ancora capace di calamitare l'attezione, trova qui modo di salutare il pubblico, con un ultimo dialogo che, a quanto pare, non era in sceneggiatura ma son proprio parole sue, sentite. Forse anche per questo danno la pelle d'oca, rendendo quella sequenza un momento per cui vale la pena staccare il biglietto.
25 anni, e riuscire ancora a fare qualcosa di buono: non male, per qualcosa nato come soggetto di una puntata di "X-Files" e poi fatto diventare un film vero e proprio, uno di quei testimoni di una generazione fa, diventato poi appuntamento fisso delle "Notti Horror".
Chissà se il successo di "Bloodlines" porterà New Line Cinema e Warner a vararne un settimo, ma per il momento, per chi vi scrive è già una vittoria che questo non si sia rivelato di una noia... mortale! (due cose sono sicure: la Morte, appunto, ed io che faccio un gioco di parole scemo in chiusura di un pezzo - sorry, not sorry!)
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