IL GLADIATORE II
"Molte cose cambiano nel tempo... Molte cose, ma non tutte"
Lo dice la Lucilla di Connie Nielsen nel primo film, e sarà perchè la ritroviamo, ventiquattro anni dopo ma sempre affascinante, vuoi perchè l'ho rivisto di recente in quella versione estesa di cui vi parlavo l'altro giorno nella mia rubrica #ProfondoBluRay su Instagram, ma questa frase ha continuato a tornarmi alla mente, mentre guardavo IL GLADIATORE II, ora nelle sale.
Cosa è cambiato dal primo film? Di sicuro, l'epica che avvolgeva la storia di un uomo travolto dalla Storia, che si ritrova a perdere tutto per poi ritrovarsi a combattere in un arena che non è solo quella fisica del Colosseo, ma anche quella politica dei togati di turno.
Per tutto questo secondo "Gladiator", non si respira mai quell'aura, solenne e maestosa, che caratterizzava le vicende di Massimo Decimo Meridio. Ci provano, a rievocare quel vissuto, la trama è per buona parte un copia incolla, con più sangue e CGI, di un percorso di perdita e rinascita che abbiamo già conosciuto, applaudito e amato negli ultimi quattro lustri e più.
Ma gli manca un vero cuore pulsante, un vero respiro che non sia derivativo, e musiche e fotografia mai arrivano davvero a quella grandezza da Peplum portato sugli allori: ne deriva un Signor Spettacolo, nulla da eccepire, le scene con rinoceronte e squali sono travolgenti, e la bravura di Scott non fa mai pesare le sue due ore e mezza di durata, sorretto da un cast di quelli scelti col solito occhio lungo, da chi questo mestiere, tra alti e bassi, lo conosce bene.
Denzel Washington in pratica si mangia chiunque, con tanto di scarpetta: il suo Macrino è manipolatore, infingardo e pronto a pugnalare schiene e tagliare gole alla prima occasione, giocatore con assi nel manicone per una sola partita, la propria, al preciso scopo di vincere, anche se ad un certo punto pure lui fa difficoltà a stare appresso a tutti questi doppigiochi.
Non che gli altri comunque non diano del loro meglio: oltre al buon vecchio Pedro Pascal e alla già citata Connie Nielsen, che fanno il dovere che ci si aspetta, voglio spezzare una lancia anche per Joseph Quinn e Fred Hechinger, che danno a Geta e Caracalla, rispettivamente, una pazzia di tirannica efficacia, sancita da trucco pesante, modi teatrali e scimmiette con vestitini assortiti (giusto per rendere ancora più variegato il caravanserraglio).
E Paul Mescal? Lui ci mette giovinezza e fascino da rising star, cercando non di porsi sotto l'ombra ingombrante di Russell Crowe, quanto di rendere giustizia ad un personaggio che abbiamo conosciuto bambino, affascinato da Massimo Decimo Meridio, e che oggi ritroviamo uomo adulto, con su di sè il non facile peso di una eredità che nasce da un sottinteso che qui viene esplicitato sin troppo chiaramente, sino ad una scena di palese e poco metaforico passaggio delle armi, davanti ad una scritta in inglese, su un muro dell'Antica Roma (che fa il paio col Trace che legge il quotidiano al bar).
Ma d'altronde, la questione della veridicità storica nei film americani è vecchia quanto il mondo del Cinema, quindi son cose che ti fanno sollevare gli occhi al cielo, ma ormai non più cascare le braccia (a proposito di cose che non cambiano).
Insomma, tutta una serie di elementi che, presi singolarmente, sanno essere efficaci, ma che si muovono nel complesso di un film a cui davvero manca quella patina di grandezza che permeava il primo film, risolvendosi in un glorioso blockbuster, di quelli da popcorn bucket a forma di Colosseo e due ore e passa spese con gli amici al cinema.
Un Ridley Scott che pensa in primis a far cassa, più che a raccogliere premi, forse ormai arreso all'idea che tanto le statuette mai arriveranno, e conoscendone il carattere acceso, probabilmente le userebbe solo come fermaporte.
Questo secondo "Gladiatore" è infatti "Circenses", di sicuro, e forse in fondo gli basta essere quello, che di questi tempi al "Panem" ci pensiamo sin troppo, ma che trovo difficile possa riuscire a superare veramente le impietose sabbie del Tempo.
Magari sbaglio, ma d'altronde, come si dice, è ai posteri che spetta l'ardua sentenza!