THE HOLDOVERS

 


Rimanere bloccati.

Dalle circostanze, dalla vita e, forse e sopratutto, da sè stessi: THE HOLDOVERS (no, non userò il sottotitolo italiano) è, in mancanza di termini meno abusati, quello che si può definire un gioiello, con un Alexander Payne in stato di grazia, uno di quei film che, spuntando (e azzeccando) tutte le sue caselle, ti rimette in pari col piacere di andare al cinema.


Per carità, il grande schermo vive delle emozioni roboanti e dello spettacolo che sa trasmettere, ma certe storie, il loro essere intime, importanti e, perché no, divertenti, hanno bisogno sopratutto del buio della sala, quell'immersione tra film e spettatore che, quando poi arrivano i titoli di coda, ti senti in pace con la tua passione cinefila per l'aver visto un bel film.



Ma bando alla poesia d'accatto, e torniamo indietro al Natale del 1970, un periodo che Payne abbraccia non con facile nostalgia, ma rendendo chiaro quanto la cornice sia la più adatta per questo particolare racconto: siamo alla Barton Academy, un collegio, e alcuni studenti, tra cui il protagonista Angus Tully (Dominic Sessa), non potendo tornare a casa per le Feste, sono costretti a rimanere lì, sotto la stretta - e strenua - sorveglianza del professor Paul Hunham (Paul Giamatti). Una curiosa catena di eventi, che include un elicottero, vedrà i due restare da soli, insieme alla cuoca Mary, ancora in lutto per aver dovuto seppellire il giovane figlio, caduto in Vietnam.

L'improbabile trio stringerà un ancora più improbabile rapporto, lungo un Natale che, per ragioni varie e guai a spoilerarle, sarà in qualche modo decisivo per tutti.


Un racconto, come detto, che si incastra alla perfezione con quel preciso momento della Storia americana che sta per cominciare davvero: non sono ancora pienamente gli Anni '70, ancora i Sixties fanno sentire la loro influenza che, culturalmente e cinematograficamente, Payne ricerca con tenacia, riuscendoci, a partire dallo stile dei titoli e alla messa in scena, sino alle strade, ai passanti, ai personaggi di cui ha deciso di farci innamorare, passando per un'azzeccatissima colonna sonora.



Paul Giamatti dimostra, ancora una volta, il suo essere un ottimo interprete, quando è ispirato da una sceneggiatura e un personaggio ben scritti (da David Hemingson), che lui può valorizzare (i premi vinti sinora meritatissimi), sapendo poi di avere le spalle coperte da un "partner in crime" come Payne, e altrettanto può dire il regista.

Il suo professore è il più odiato dagli studenti, un uomo che si è costruito una nicchia di pace personale, tiene tutto e tutti lontani, con sarcasmo ficcante, pieno di difetti fisici eppure, più lo si conosce, più si capisce quando grande sia la mente e l'anima di questo accademico mancato.

Dominic Sessa è la rivelazione del film, uno studente dalla mente brillante, se solo ne avesse l'occasione, se solo potesse permettersi di mettere radici e crescere davvero, non più sballottato dagli eventi e dalla sua famiglia.

Lo sguardo del giovane attore fa trasparire arguzia e quella scintilla di chi può e vuole essere una star, senza dimenticare di imparare, al pari del suo personaggio, da chi ha esperienza.

Da'Vine Joy Randolph (anche il plauso per lei è difficile da contestare) è il cuore del film, non solo materno. Il suo dolore, il suo affrontarlo da donna matura, senza esibirlo, mandandolo giù un sorso alla volta, forte di un senso della famiglia che la aiuterà ad andare davvero avanti, impossibile odiarla, altrettanto impossibile non volerla abbracciare.



Alexander Payne li mette assieme alla luce del Natale, forse il periodo in cui più desideriamo stare assieme, passarlo con le persone amate, e mentre l'anno si avvia verso la fine, fare anche un esame di coscienza, guardarsi dentro e capire un po' di più noi stessi.

Non vuole essere un film natalizio tout court, a renderlo accogliente è la bravura alla macchina da presa del regista, il modo in cui ci mostra e accarezza i protagonisti, il loro essere come sassi gettati nello stagno della vita, i cui cerchi sull'acqua non solo finiscono per unirsi e trovare strani e concentrici parallelismi, ma riescono anche ad aiutarli a cambiare, scoprendo ognuno il proprio giusto domani.

Chi è sempre rimasto bloccato, capirà cosa lo trattiene davvero.

Chi è sempre stato erratico, comprenderà la bellezza e le potenzialità di legarsi a qualcuno o qualcosa.

Chi ha sempre avuto punti fermi e se li è visti portare via, ne creerà di nuovi, perché la vita va avanti, sempre. Non è immota, perché niente e nessuno potrà bloccarla.



"The Holdovers" diverte, senza essere comico o sciocco, fa riflettere, senza essere pedante, conducendo lo spettatore verso una visione felice, perchè quello che si trova davanti è un film costruito con quella particolare attenzione che lo differenzia dal lavoro del mestierante di turno, dopo ogni dettaglio si incastra alla perfezione con l'altro, costringendoti a pensarci, con un sorriso vero, anche dopo i titoli di coda.

Uno di quei film che, anche se ormai Natale ce lo siamo lasciato alle spalle, vale comunque e in assoluto la pena scoprire, perché fuori dalla sala fa davvero freddo in questo periodo, e no, non mi riferisco solo al meteo!


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