ANCORA UNO POI BASTA - LOST IN SPACE (2018)


Con Lost In Space Netflix prova a trovare una risposta alla domanda: "Si può, nel 2018, riuscire a proporre ancora il topos della famigliola felice che vive straordinarie avventure nello spazio e conquistare il genere per tutti, con una sana dose di buoni(sti) sentimenti?"
Al termine delle dieci puntate di questa prima stagione, pare chiaro che ci sono ancora margini per farlo, essenzialmente sfruttando tre elementi concatenati: un robot, una gallina e una pazza squinternata.
No, non sto dando di matto. Di fatto, sta tutta qui la chiave per intelligere e apprezzare il nuovo progetto della piattaforma di Reed Hastings.
Che nuovo, poi, non lo è di certo.


La serie difatti è una versione aggiornata dell'omonimo telefilm del 1965, che a sua volta ispirò il film di  vent'anni fa con William Hurt, Gary Oldman e il Matt LeBlanc di "Friends".
Questo remake/reboot prova a riprendere parte di quegli elementi, modificandoli alla bisogna per il gusto moderno e frullandoli per la generazione attuale e quella precedente, cresciuta a pane e Steven Spielberg.
Ci sono i Robinson, che se prima partivano da soli alla volta delle stelle, come pionieri spaziali, stavolta fanno invece parte di una missione più grande.
L'incarico però rimane di base lo stesso. Trovare una nuova casa per il popolo della Terra, dopo che l'atmosfera sul nostro pianeta si è fatta insostenibile, a causa della caduta di un meterorite che ha reso l'aria irrespirabile.
In seguito ad un incidente, che verrà spiegato ad un certo punto in una delle sottotrame, i nostri finiscono per fare ammaraggio su un misterioso pianeta, simile alla Terra, ma ricco d'insidiose minacce e pericoli costanti.
Questa, ridotta all'estremo osso, la sinossi delle dieci puntate, che riprendono appunto un'idea vecchia ma modificando i pezzi per far sì che, più di cinquant'anni dopo, il risultato non cambi.


Se nel 1965 la famigliola protagonista era abbastanza classica e tipica di quel periodo, qui le dinamiche si fanno, almeno nelle fasi iniziali, più vicine al nostro tempo.
Mamma e papà sono in odore di divorzio e contrasto mal sopito, mentre i tre figli non nascono tutti all'interno del matrimonio, con la più grande, Judy, qui afroamericana, che viene da una precedente relazione della Sig.ra Robinson.
Nella vecchia serie, i Nostri erano accompagnati da un onnipresente robot tuttofare, dalle fattezze umanoidi, e capace di esprimere emozioni basiche.
Qui, il robot, e ci colleghiamo quindi al primo dei tre elementi di cui dicevo all'inizio, è invece rivenuto casualmente dal piccolo di casa sul pianeta sconosciuto. Instaura col bambino un rapporto simile a quello di E.T. e porta una parvenza di mistero nella storia.
Perché il rinnovato Lost In Space va a sfruttare ogni possibile meccanismo visto e sviluppato in tutti questi anni di serialità televisiva in continua espansione, quindi ecco arrivare l'elemento misterioso, la sottotrama che serve a conferire carattere a qualcosa che altrimenti potrebbe subito suonarci noioso, Dio non voglia.


Ad affiancare i Robinson nel vecchio viaggio avevamo, oltre al robot, anche un pilota militare, di nome Don West, che finiva da subito per essere parte del gruppo, più di un semplice gregario.
Oggi, West diventa un meccanico scaltro, mezzo contrabbandiere alla Han Solo, un simpatico guascone. Il classico duro dal cuore tenero, unico personaggio dotato di buone battute del cast, complice l'amicizia con una gallina portafortuna, rinvenuta sul luogo della caduta della sua navicella e che, dopo aver incontrato i Robinson, stabilirà un rapporto di amicizia, quasi flirtante, con la figlia più grande.
Il suo personaggio inoltre unisce i due elementi restanti dei tre elencati: la gallina, appunto, e la pazza squinternata.


Se nella serie classica, il Dottor Smith era un sabotatore comunista incaricato di far fallire la missione dei Robinson, causa dell'avaria per cui i nostri si "perdevano nello spazio", qui le cose si fanno più complicate, sempre in quell'ottica di aggiornare al gusto meno "alla buona" del pubblico di oggi che pretende complessità filosofiche  e sviluppo psicologico in ogni angolo.
Il Dottor Smith diventa una donna, quella Parker Posey sempre a suo agio nel ritrarre personalità borderline, che scopriamo essersi imbarcata sull'astronave madre sotto mentite spoglie (segnalo nel flashback di spiegazione un cameo di Neve Campbell) e precipitata sul pianeta insieme a Don West, con il quale, ad un certo punto, svilupperà un evidente contrasto, proprio come nella serie originale.
Un pazza squinternata che s'insinua nella famiglia protagonista come un serpente astuto e manipolatore, ma mai pienamente convincente, solo irritante alla lunga.
Di fatto, non si finisce mai per capire quanto sia malvagia, vedendola spesso fare cose cattive in concerto con cose buone, alla ricerca di una redenzione che ripudia subito dopo con altre manipolazioni, alle volte quasi assurde tanto attecchiscono in fretta.
E' comunque il villain della serie, quello più pericoloso di ogni minaccia alla Jurassic Park che il pianeta abbia in serbo per il gruppo di sopravvissuti.


Non pensiate, infatti, di star guardando qualcosa di troppo complesso, al netto di queste considerazioni.
La storia è sempre alla ricerca di movimento, di scatti improvvisi, d'impennate di adrenalina a cui far seguire momenti di sollievo, minati però dal mistero del robot o dai piani malvagi della maligna falsa Dottoressa Smith.
Fortuna ci pensano la gallina e il suo amico umano a portare il sorriso.
Quello che ne consegue è un buon telefilm d'intrattenimento, che non cerca di essere originale o sperimentale, ma solo di rincorrere con i mezzi di oggi la nostalgia per un passato remoto di cinquant'anni fa, dimostrando che certe idee sono sempre dure a morire.
Però, a parer mio, è un prodotto che poteva cercare di osare di più, sopratutto perché, e lo si capisce alla fine delle dieci puntate, la prende più alla lontana di quello che sembra.
Arrivati al colpo di scena finale, (del resto, ma 'ndo vai se il cliffhanger non ce l'hai?), si capisce tutto d'un colpo dove Matt Sazama e Burk Sharpless, gli sviluppatori e showrunners, volevano andare a parare, ovvero raccontarci un lungo prequel di ciò che, almeno nelle intenzioni, molti nostalgici speravano di vedere sin da subito.


Per le avventure nello spazio dei Robinson tocca attendere la seconda stagione, qui viene sviluppato un discorso di lunga distanza, con personalità di stampo femminista (quasi dimenticavo; se in passato il gruppo vedeva al comando l'uomo, qui a tenere in piedi la baracca è la super mamma/scienziata/pilota interpretata da Molly Parker) e un insieme di articolati colpi di scena atti a catturare il pubblico, la cui attenzione però non sopravvive per troppo tempo.
E' un piacere momentaneo, di passaggio, intrattiene mentre lo segui ma oltre non va.
Non aspettatevi quindi un nuovo Cult in divenire o la sorpresa di questa primavera telefilmica.
Quello che i Robinson promettono e mantengono, nonostante ogni possibile forzatura, è regalarvi un intrattenimento vecchio ma non fuori dal tempo, eterno quanto lo spazio infinito, perché non di soli drammi vive l'appassionato.
Voto 7/8

LOST IN SPACE (2018), la prima stagione disponibile su Netflix
Creato da Matt Sazama e Burk Sharpless, basato sulla serie omonima del 1965
Con: Molly Parker, Toby Stephens, Parker Posey, Ignacio Serricchio.

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Commenti

  1. Umh, proprio non è il mio genere, anzi quasi quasi recupererei il vintage dal passato, per quanto più "fesso".
    Ma I Robinson, famiglia spaziale, non era anche un film Disney? :o

    Moz-

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    Risposte
    1. Sì, "I Robinson - Una Famiglia Spaziale" di una decina di anni fa. Ma totalmente slegato da questi Robinson, che penso abbiano mutuato il nome dal più celebre naufrago. :)

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    2. Ah ecco, quindi non c'entrava un kaiser :)

      Moz-

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