A REAL PAIN

 

Il Vero Dolore.

Quello che ci portiamo dentro, che affrontiamo, di cui non riusciamo a parlare, che forse troviamo il modo di superare, o magari lasciamo che invece ci divori, lungo un viaggio che sembra non portarci mai veramente da nessuna parte, nonostante le mille strade della vita.


Una delle cose che più colpisce di A REAL PAIN, una volta che partono i titoli di coda, è la sua semplicità, perchè a raccontarlo in breve, il racconto scritto e diretto da Jesse Eisenberg è davvero asciutto: due cugini, da ragazzi inseparabili e che la vita adulta ha allontanato, si ritrovano per fare un "tour dell'Olocausto", in quella Polonia da cui proveniva la loro di recente defunta nonna.

Un viaggio in suo onore, e per uno dei due anche un modo per aiutare l'altro ad affrontare il lutto.


Due personalità diverse, in qualche modo compatibili, legate da un rapporto che non è solo parentela ma, un tempo soprattutto, vera amicizia e confidenza.

E se il David di Eisenberg è una persona misurata, un poco schiva, che sente su di sè cose come il peso della pressione sociale e prende pillole per il disturbo ossessivo compulsivo, il Benji di Kieran Culkin è invece empatico, espansivo, pronto a chiacchierare con tutti, uno di quelli che illumina una stanza non appena ci mette il piede dentro.

Insomma, avete capito i caratteri, tutti ne abbiamo conosciuto uno di entrambi, magari guardandoci la mattina allo specchio, semplicemente.


In sè, la trama è tutta qua: nessuna spericolata avventura, nessuna assurdità tanto per, nessun guizzo che non si possa riassumere in un semplice gesto simbolico con un sasso, eppure "A Real Pain" è uno dei film più solidi, stratificati e ricchi che ho visto di recente.


In questo tour, tra le tombe di un cimitero, davanti ad un monumento oppure, in rispettoso silenzio, nei locali di un campo di concentramento, camminiamo insieme a loro, ascoltiamo le loro conversazioni con gli altri partecipanti, ognuno con la propria eredità, col proprio vissuto, ed impariamo, ad ogni dialogo, qualcosa di più su cosa si muove dentro di loro, su quali siano i loro tormenti e riflessioni.

Che finiscono per diventare un poco nostri, perchè il dolore, il vero dolore, quello che ci spezza e che non si cauterizza mai del tutto, è una costante universale da cui non si può scappare.

Permettendoci di pensare a noi stessi come esseri umani, che dovrebbero essere umani sopra ogni cosa, e che purtroppo, persi dietro alle paure, agli agi e alle insicurezze, tendiamo troppo spesso a voler come dimenticare e nascondere, rifiutando anche quella mano tesa che ci viene offerta.


È un film di cuore, diretto con la testa e raccontato coi piedi saldamente a terra, umano e semplice, capace di risuonare di una profondissima immedesimazione del pubblico coi personaggi.

Non cerca mai la via più facile, non si lascia andare ad urla o strepiti o a discorsi altamente filosofici, eppure anche grazie ad una sceneggiatura recitata con lucida consapevolezza, "A Real Pain" mantiene inalterata per tutti i suoi 90 minuti una coerenza granitica, persino nei suoi "imbarazzi", chiudendosi in un cerchio che lascia pensierosi anche mentre i titoli iniziano a scorrere.


Quello che si potrebbe riassumere con la parola "Dramedy", perchè sa essere commedia e dramma, tra scambi di battute e situazioni dolceamare come la vita, dove ad un sorriso e ad una battuta di spirito, possono seguire eloquenti silenzi e parole che sono stiletti.


Una bella prova di maturità per Eisenberg dietro la macchina da presa, che sceglie qui di lavorare in sottrazione, rispetto al seppur interessante esordio "Quando avrai finito di salvare il mondo", e soprattutto di affidarsi allo straordinario talento di Culkin.

È indubbio che sia proprio lui la cifra aggiunta in un cast in cui il focus a cartellone sono solo i due protagonisti: fa di sicuro piacere vedere Will Sharpe o Jennifer "Nessuno può mettere Baby in un angolo" Grey, ma proprio come il suo personaggio, Kieran Culkin illumina ogni stanza in cui entra, divora ogni scena in cui appare, si prende il suo spazio davanti alla camera e lo reclama di buon diritto, aprendo e chiudendo la pellicola con il suo sguardo, aiutato in duetto da quella indolenza che è la cifra stilistica di Eisenberg come attore.


La distribuzione italiana si è presa i soliti tempi biblici prima di farlo arrivare nelle nostre sale, sia mai puntare sull'effettiva - e forte - qualità del film, invece che sulla classica finestra pre-Oscar, ma "A Real Pain" è la dimostrazione di come il cinema indipendente sappia ancora coltivare l'arte del racconto, di saper muovere la telecamera in quell'ambiente angusto che sa spesso essere l'animo umano.

Magari, non vi farà dimenticare i vostri dolori quotidiani, non è una pellicola che consigli a chi cerca qualcosa "scacciapensieri" (come se i pensieri fossero zanzare fastidiose), ma se il vostro sollievo dal "logorio della vita moderna" è del buon Cinema, allora è il film da non mancare in sala questo weekend!


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