FURIOSA - A MAD MAX SAGA

 


Ok, non è "Fury Road"... e quindi?

Non ho capito questa cosa per cui FURIOSA dovesse a tutti i costi rivaleggiare o superare il precedente, quando appare chiaro che quello di nove anni fa sia stato un caso di fulmine cinematografico che cade solo una volta, figlio di una incoscienza irripetibile, di una storia produttiva tutta sua e di mille altri fattori che, collimati assieme, hanno dato vita a quel Capolavoro di Cinema in Movimento nella sua forma più esplosiva.



"Fury Road" era anche il modo di George Miller di mettere un punto a quanto fatto lungo tre film, sublimandoli in uno ed riuscendo ad immettere nuovo linguaggio ad alti ottani in un meccanismo da lui stesso creato e declinato poi da tanti altri lungo trent'anni.

Soprattutto, più dello stesso Max, era Furiosa a funzionare, era il personaggio incarnato da Charlize Theron ad avere la meglio sul pubblico, con quello sguardo, con quel vissuto che traspariva da poche frasi e da quel braccio mancante che raccontava storie violente anche solo a guardarlo. Era questo a dargli un fascino. Perchè quelle storie non erano suggestione peregrina, erano state scritte, buttate già su carta e rese in qualche modo tridimensionali, una "Bibbia" che ha permesso alla sua interprete di impersonarla al meglio, al punto che, aneddoto dello stesso Miller, la Theron avrebbe voluto girare prima quel film di "Fury Road", ma come detto, diversa macchina produttiva, e così quel racconto ha dovuto aspettare nove anni prima di arrivare in sala, con un'altra attrice.



Anya Taylor-Joy si rivela una scelta azzeccata, perchè è brava, perchè sa recitare con gli occhi e il fisico, regalando a Furiosa una rabbia crescente, una rabbia nervosa, una rabbia che detona sotto il rombo di un motore lanciato sulla strada della vendetta.

Non le concede molti dialoghi, Miller, ma d'altronde non è che quelli siano mai stati il punto forte dei suoi film su Mad Max, ammettiamolo. Lui la sua magia la sa fare con la macchina da presa, con i movimenti di macchina, con il modo che ha di ricercare con precisione il moto dell'azione, senza mai rallentarla, facendo scattare i muscoli al momento giusto per evitare un proiettile e rispondere colpo su colpo, mentre intorno tutto esplode, corre, si frantuma e si contorce, acciaio malleabile e carne sacrificabile.

È in quelle scene che "Furiosa" si riconnette con "Fury Road", è in quegli istanti dove tutto corre, che capisci quanto Miller sa come costruire Azione, sa come rendere epico un momento, senza saturare nulla con la slowmotion, ed invece di sospendere l'azione, sa che è il respiro dello spettatore quello che deve fermarsi, con gli occhi fissi allo schermo.

Ma stavolta, a differenza di "The Road Warrior", "Beyond The Thunderdome" e dello stesso "Fury Road", il cineasta australiano fa una cosa che non provava ad inserire in un film di Mad Max sin dal primo capitolo di 45 anni fa: una trama da definirsi tale, un racconto che non fosse solo un andirivieni tra due punti, ma avesse una qualche sostanza, un costrutto, un dolore ed un'emozione a dargli vigore, potenza narrativa che corre in un universo che sappiamo avere la possibilità di espandersi, regalando scorci di leggenda altri da Rockatansky.



Lo avevamo già intuito sin dal primo istante in cui l'abbiamo vista: al pari di Max, anche Furiosa è un personaggio da ballata, un personaggio che si ammanta della sua leggenda, il che rende quel "A Mad Max Saga" ancora più esplicito. Questo è l'universo di Mad Max, e questa è una delle sue storie, una delle tante che questa landa di sabbia, sangue e ossa rotte ha da raccontare.

Così decide di farlo, di creare una fabula, sfruttando ancora una volta il sentimento più duro, acceso, primordiale che conosciamo: la vendetta.

Vendetta per quanto le è stato portato via, vendetta per tutto quello a cui ha dovuto rinunciare, vendetta verso un'innocenza che quella terra, rappresentata da un solo uomo, le ha sottratto, costringendola ad assistere ad una violenza che è stata come una lezione da imparare sulla sua carne, sulle sue ossa, sulle sue lacrime.

E quell'uomo ha un nome: Dementus.

E un volto, quello di un Chris Hemsworth in stato di grazia, nasone prostetico e orsacchiotto appeso al petto, che anzichè renderlo ridicolo, lo trasforma in qualcosa di ancora più pericoloso, un villain gigione ma senza essere stupido, solo folle di quel potere che le Wastelands promettono all'uomo pazzo, senza scrupolo o più nulla da poter perdere, perchè quel prezzo lo ha già pagato.

Hemsworth concede a Miller una delle migliori prove della carriera, si pulisce con la sabbia del lucido patinato dei film della Marvel e le sue battute diventano citazione, diventano mattoni su cui Miller (con Nico Lathouris) cerca di costruire una narrazione, di mostrare che il suo mondo, in barba alla critica e a chi dice che i suoi film sono poveri di concezione, ha invece molto da dire e da esplorare, in lungo e in largo, oltre le dune e i loro confini, forse più infiniti di quanto si voglia pensare.



Perchè Miller è ben conscio della sua età, è ben conscio che "Fury Road" è la sua eredità artistica conclamata, e sa che, quando lui non ci sarà più a poterlo fare, altri continueranno ad esplorare quelle Terre Desolate, magari senza il suo Occhio Cinema, ma di sicuro con la voglia di prendere quelle mappe da lui tracciate e provare a vedere cosa altro si può scovare e portare alla luce. Ci hanno già provato i Fumetti, ci ha provato il videogioco del 2015 (e quell'omaggio, quella citazione, piccola ma splendida, è stata inattesa davvero), piccoli tentativi zoppicanti, ma primi passi per un domani che spero arrivi il più lontano possibile.

So che può suonare romantico, ma quanto amo il mondo creato da Miller con Mad Max e quanto temo di doverci rinunciare. Spero riesca a comporre altre di queste meraviglie. Non gli chiedo il Capolavoro, non ho questa pretesa, non ho questa follia, mi basta solo che sia ancora e più volte lui il mio Virgilio, con quei mezzi assurdi, con quei corpi martoriati che alla carne uniscono il metallo e l'illogico, figli aberranti di mutazioni orribili, con quel deserto che reclama pezzi di anima, e restituisce macigni da mettere al posto del cuore.



Ma come "Furiosa" insegna, se si vuole far crescere qualcosa, serve l'umanità, serve che l'essere umano si ricordi cosa lo ha sempre reso tale, e che quel deserto non deve essere una scusa per cedere all'abisso, ma una possibilità per cercare una redenzione.

È quel seme che fa germogliare questo film, che lo nutre e lo anima, e quando il cerchio si chiude, e la storia si ricollega all'illustre predecessore, non ci serve sapere altro, abbiamo adesso tutti i dettagli, che non sono strizzate d'occhio, ma voci di quella "Bibbia", di quel romanzo che è la vita di Furiosa, e non a caso, Miller divide il film in capitoli.

Una Bibbia che mette tutto al posto giusto, che mostra parte di quei "7000 giorni, più quelli che non ricordo" e rende ancora più intenso quell'urlo rivolto al cielo, ginocchia a terra e un dolore che, adesso più che mai, diventa palese, materiale, non più avvolto da suggestione.



"Furiosa" è un bel film, un ottimo film mi arrischio a dire. Non un Capolavoro come "Fury Road" e, di nuovo, non ho mai preteso che lo fosse.

Volevo un film che sapesse raccontare ed essere epico a sua volta, rendendo onore ad una protagonista che mi ha rubato il cuore e ha continuato a farlo, perchè è potentissima.

Ammiratela. Sullo schermo più grande che riuscite a trovare!


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