MISSION : IMPOSSIBLE - THE FINAL RECKONING

 

M: I - Missione : Invecchiare.

Anche se di nome fai Tom Cruise ed è quello ad essere per te davvero Impossibile: ad inseguire realmente Ethan Hunt in MISSION : IMPOSSIBLE - THE FINAL RECKONING è il Tempo che è passato, quasi trent'anni, dalla prima volta che ha salvato il mondo.

È questa presa di coscienza a muovere il passo per buona parte di questo ultimo (?) capitolo della saga del personaggio, ormai legato a doppio filo al suo interprete e alle sue incredibili acrobazie, mosso sempre da quel desiderio da vera Star di regalare spettacolo.


Spettacolo che non manca, in queste quasi tre ore di film, ma stavolta ad accompagnarlo è una strana - per questo marchio - diversa consapevolezza, una zavorra che, forse evitabile forse invece necessaria, appesantisce la prima ora, se guardata ricercando ciò che abbiamo sempre conosciuto, ciò che ci ha sempre portato a staccare il biglietto per otto volte.




Tanti ne sono usciti, da quel ormai lontano 1996, quando Brian De Palma diresse quello che doveva essere un tentativo - non così urlato come oggi - di portare sul grande schermo qualcosa che originariamente era nata per il piccolo. Perchè "Mission: Impossible" allora era in primis una vecchia serie televisiva, nata una trentina d'anni prima (tu guarda il caso) dalla mente di Bruce Geller e diventata celeberrima per il tema principale, già allora Storia.

Protagonista Tom Cruise, 34 anni e con alle spalle titoli di sicuro culto come "Top Gun", "Risky Business", "Giorni di Tuono", "Rain Man", "Il Socio" e "Intervista col Vampiro". In potenza, un successo. Conti alla mano, un successone, scandito sempre da quelle immortali note e da una scena "appesa" che ha fatto scuola sino alla parodia. E Hollywood a quel punto, ha fatto la sola cosa che gli riesce bene in questi casi: volere un sequel.

Ne sarebbero seguiti altri sette di questi film, passando da John Woo a JJ Abrams, da Brad Bird, alla sua prima esperienza con un live action dopo averci incantati con l'animazione Pixar, a Christopher McQuarrie, che avrebbe finito per formare con Cruise un rapporto regista / attore quasi indissolubile, arrivando così a questa "Resa dei Conti Finale".

Una saga divenuta celebre per il protagonista, a sua volta salvato proprio da essa nella sua ora professionale più nera, quando sembrava quasi fosse destinato ad un oblio a cui non si è arreso, anzi decidendo di rilanciare sfruttando proprio questa sua tendenza a mettersi in gioco in prima persona, con stunt pericolosissimi e sempre pubblicizzati a dovere.

McQuarrie gli viene sempre più dietro, dall'appenderlo a velivoli a varie corse folli, dando vita a quel "Fallout" diventato la cifra più alta raggiunta, in termini di incasso e spettacolo, da questi film. A quel punto, l'ambizione: un doppio capitolo da girare back-to-back.

Sulla carta, almeno. Perchè poi il fato, sotto forma di pandemie e scioperi, ci ha così messo lo zampino da, inevitabilmente, incidere anche su questi due episodi, che poi, sempre in teoria, ma anche un poco in pratica (ci arriverò), sarebbero uno solo diviso a metà.




Naturalmente, si potrebbe dire che ciò che accade a monte non deve influire sulla percezione di ciò che poi arriva a valle, a noi spettatori, ma basterebbe solo ripensare alle cronache di quei giorni, quando Cruise impose rigide regole per affrontare le misure sanitarie, sul set di "Dead Reckoning", quel suo sfogo che ha fatto il giro dei social, per capire come queste riprese si siano dilatate sino a decidere di voler mettere un punto a ciò che è stato sinora il cammino di Ethan Hunt, la sua storia a colpi di missioni improbabili se non esattamente impossibili, e di messaggi che si autodistruggono.


Non dimentichiamo difatti che, addirittura a Blu-Ray già nei negozi (e di questo pugno in un occhio ne so qualcosa, ogni volta in cui guardo lo scaffale con la collezione di tutti i film), si è deciso di cambiare titolo da "Dead Reckoning - Parte Uno" al solo "Dead Reckoning".

Gli scioperi - di cui nessuno pare mai voler tener conto - hanno costretto a levare quel "Parte Uno", ritardando la produzione, portando così il progetto a presentarsi diversamente da un mero "Primo e Secondo Tempo" di un'avventura lunga cinque ore e passa.

Il capitolo precedente si chiudeva talmente con un cliffhanger da desiderare subito il seguito, che però si è fatto a sua volta desiderare, al punto da percepire questo "The Final Reckoning" come un film a sè, e in questo tranello ci è cascato anche McQuarrie.


La prima ora di quest'ultimo (?) film, infatti, la si spende a riepilogare tutto il riepilogabile, a rimettere Ethan e gli spettatori di fronte ad una svariata serie di fatti compiuti, perdendosi dietro spiegoni, dialoghi volti a ricostruire le fila del discorso lasciato in sospeso sul tetto di quel treno, a rimettere dolorosamente in gioco la minaccia dell'Entità e del Gabriel di Esai Morales e, già che ci siamo, provare ad annodare in un unico corpo narrativo tutta una vita passata a proteggere il mondo, senza che questo ne sapesse nulla.




Ogni scelta fatta da Ethan, ogni decisione, ogni missione ha portato a ciò che vediamo, e qui entra in gioco la diversa consapevolezza di cui accennavo sopra.

All'incipit di "The Final Reckoning", proprio per via di quel "Final", manca quella solita "frizzantezza" che contraddistingue sempre l'avvio di una storia di M:I, che si tratti di un inseguimento spettacolare, che sia una scena d'azione condita da dialoghi brillanti e verve, c'è sempre dietro, per lo spettatore, la certezza di essere di fronte a puro intrattenimento.

Non stavolta: qui, dato che questa sarebbe l'ultima (?) impresa del Nostro e continuazione imposta della precendente, ci si lancia in un più serioso interloquire, condito da spezzoni di puro fanservice, da momenti in cui a risuonare, con serafica dolenza, è questo concetto: "Viviamo e moriamo nell'ombra, per proteggere chi ci sta a cuore e chi non conosceremo mai", ripetuto ancora e ancora.

Ha un suo peso nella narrazione, e soprattutto nel vedere Ethan, e di riflesso Tom Cruise, messo di fronte alla realtà dei fatti: ha perso tanto, ha sacrificato ogni cosa possibile, ha affrontato ogni tipo di minaccia, dalla più canonica alla più impalpabile, eppure non ha mai davvero smesso di mettersi in prima persona al servizio della causa.

Quando, in una particolare occasione, lo si sente chiedere che gli venga concessa fiducia, è più in nome di tutta questa vita trascorsa a correre letteralmente in faccia al pericolo, che non per rispetto a quella sorta di invulnerabile stereotipo che abbiamo finito per percepire.




Così, in questo passaggio dal tetto del treno all'azione vera e propria, in questa transizione temporale che altrimenti sarebbe potuta essere forse meno autoreferenziale quanto più dinamica, c'è questo sentimento, c'è Tom Cruise che ci chiede, con quel suo carisma ormai innegabile, di concedergli fiducia, perchè una volta presa coscienza del proprio ruolo, ancora una volta ad attenderci dietro l'angolo è un fiato sospeso di altissima tensione.

C'è la volontà di mettere in risalto quella parola "Fine" messa non a caso, al punto che lo stesso attore si guarda allo specchio, con questi capelli insolitamente lunghi - anche ad indicare il tempo trascorso dagli eventi precedenti - e per quanto ad avercene di aitanti sessantenni come lui, è indubbio che non è più lo stesso Ethan del 1996.

Una diversa consapevolezza, appunto.




Rivediamo vecchi volti, alcuni ormai parte di quest'esperienza cinematografica da vent'anni (parlo con te, Simon Pegg) e altri che ci sono da sempre (qui mi rivolgo a te, Ving Rhames), qualcuno è salito in corsa solo da poco ma si fa valere (Hayley Atwell, Pom Klementieff, Shea Whigham), e c'è chi poi ha puntato davvero in alto nella scala gerarchica (Angela Bassett, ormai talmente abituata allo Studio Ovale che la vorrei votare, se si potesse).

C'è spazio anche per un paio di new entry, caratteristi che è un piacere vedere come Nick Offerman, Hannah Waddingham e Katy O'Brian. Piccole parti ma necessarie a modo loro.

Dovrei poi tener conto di un ritorno eccellentissimo, forse avrete capito chi intendo, ma se vi siete tenuti al minimo coi trailer e le presentazioni, non ve lo spoilero.


Ma il faccione che domina, sin dalla locandina, è proprio quello di Tom Cruise. Non è più quello teso di profilo del poster del primo M:I oppure quello in posa sulla moto del secondo, oppure ancora coinvolto in chissà quale stunt come nei successivi. No, stavolta è un volto che guarda fiero, lontano, che siano gli abissi o le nuvole in cielo da solcare col biplano.

Queste due sequenze, per quanto la promozione del film ce le abbia presentate in ogni modo possibile, sono quel divertimento che questo franchise ci ha sempre regalato.

Superata la boa introduttiva, arrivati a quel momento in cui tutti, personaggi della storia e noi pubblico, abbiamo acconsentito a quella fiducia a Tom, da quel momento il film prende la discesa e non si ferma praticamente più. La pressione sale, il conto alla rovescia si avvicina sempre più allo zero, sappiamo che lui è l'Eroe e ce la farà, giusto?

E allora perchè accidenti mi sono appena messo schiena dritta e occhi piantati sullo schermo, a seguire ogni evoluzione, ogni movimento di camera di scene che, nuovamente, ridefiniscono ciò che si può fare con gli stunt di un film d'azione?

Perchè sapere che, età o meno, Tom Cruise non smette di mettersi al servizio del Cinema come Arte dello Spettacolo nella sua forma più estrema, è ciò che ci tiene incollati e ci fa apprezzare questo franchise, ripagando ampiamente il prezzo del biglietto.




Magari non è il "Mission Impossible" con cui mi sarei aspettato di salutare Ethan Hunt. Come detto, il film ha quella parte iniziale che fatica un poco a scorrere, che mette il racconto su un binario inatteso, non sgradito di per sè ma che tira comunque il freno. Non pensavo che, all'ultimo, mi sarei trovato di fronte all'idea di riesaminare il passato, abituato a pensare al personaggio solo come ad un eterno scavezzacollo. Ma nulla dura per sempre.


Tutto deve avere una fine, ogni cosa deve avere il suo ultimo (?) capitolo.

Lo so, questo punto interrogativo l'ho inserito a bella posta lungo tutto il pezzo, ma davvero, non riesco a credere che questo sia davvero il saluto a "Mission : Impossible". Non del tutto e non ancora, magari tra un po', magari quando lo avrò rivisto abbastanza volte.

Merito e colpa del suo attore protagonista, perchè nessuno sarà disposto a mettersi in gioco come ha fatto lui, non voglio che altri possano farsi carico di queste Missioni all'infuori di lui.

Chissà che, un domani, non possa esserci un nuovo scatto di immaginazione che lo riporti in scena una volta ancora, ultima per davvero, senza punto di domanda.

Verrebbe da dire che è un'idea... beh, impossibile.. ma se c'è uno che da quasi trent'anni non smette di dimostrare il contrario, quello è proprio Tom Cruise!


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